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TED Talks - Brian Skerry: Splendore e Orrore degli Oceani

08.11.10

  da Alex   , 3504 parole  
Categorie: Servizi, Video, Ricerca

TED Talks - Brian Skerry: Splendore e Orrore degli Oceani

In questa interessante video-presentazione tenuta al recente TED, il famoso foto-giornalista oceanografico Brian Skerry cattura immagini della vita che scorre sopra e sotto le onde, come dice lui é " l'orrore e la magia degli oceani ".

Attraverso immagini incredibili e nel contempo molto intime, Skerry ci mostra come la forza di una fotografia puó aiutare moltissimo ad apportare dei cambiamenti.

TED Talks - Brian Skerry: Splendore e Orrore degli Oceani
(con sottotitoli in Italiano)

Trascrizione integrale del testo
Questa mattina vorrei condividere con voi alcune storie che hanno a tema l'oceano. Lo farò mostrandovi le mie fotografie scattate per la rivista National Geographic. Credo di essere diventato un fotografo di vita sottomarina e un fotogiornalista perché, fin da bambino, ho provato un grande amore per il mare. E desideravo raccontare le storie di tutte le cose stupefacenti che vedevo sott'acqua, le incredibili forme di vita e i comportamenti interessanti che osservavo. E ancora, dopo 30 anni di esperienza, dopo aver esplorato gli oceani per 30 anni, ancora non mi capacito di questo splendore, delle creature marine straordinarie che incontro. Ma è con sempre maggiore frequenza che, ultimamente, sotto la superficie vedo anche cose terribili, cose di cui non credo la maggior parte della gente si renda conto. E ho sentito il bisogno di fotografare questi temi per rendere più esauriente il mio lavoro. Voglio che la gente veda cosa sta accadendo sott'acqua, che veda l'orrore e la magia.

servizio che ho fatto per National Geographic, grazie al quale ho capito l'importanza di includere questioni ambientali all'interno di un racconto di storia naturale, riguardava le foche della Groenlandia. Inizialmente, il servizio che volevo realizzare intendeva concentrarsi sulle poche settimane dell'anno durante le quali le foche migrano dall'Artico canadese al Golfo di San Lorenzo, in Canada per il corteggiamento, l'accoppiamento e la nascita dei piccoli. Tutto questo si svolge sullo sfondo di una banchisa che si muove nella direzione dei venti e delle maree. Proprio perché fotografo la vita sottomarina, in questo servizio volevo mostrarla sia sopra sia sotto la superficie, fare foto come questa in cui uno dei cuccioli di foca fa la sua prima nuotata nell'acqua gelida a meno 2 gradi centigradi. Ma, approfondendo l'argomento, ho capito che c'erano due importanti questioni ambientali che non potevo ignorare. La prima è la caccia a questi animali, che ancora continua. Le foche vengono uccise a colpi di hakapik tra gli 8 e i 15 giorni di vita. Si tratta del più grande massacro del pianeta di mammiferi marini, con centinaia di migliaia di queste foche uccise ogni anno.

Eppure, per quanto questo sia inquietante, credo che il problema ancora maggiore per queste foche sia la perdita di superficie ghiacciata dovuta al riscaldamento del pianeta. Questa è una foto dall'alto, che mostra il Golfo di San Lorenzo durante la stagione della caccia. E sebbene qui vediamo molto ghiaccio, c'è anche molta acqua che, nel passato, non era presente. E il ghiaccio che rimane è molto sottile. Il problema è che i cuccioli hanno bisogno di una piattaforma stabile di ghiaccio solido per poter essere allattati. Gli servono solo 12 giorni dalla nascita per poi essere indipendenti, ma se non hanno questi 12 giorni possono cadere in acqua e morire. In questa foto vedete un cucciolo che ha solo circa 5, forse 7 giorni di vita, ha ancora un po' di cordone ombelicale attaccato. E' caduto in mare a causa del ghiaccio sottile e la madre lo spinge freneticamente verso la superficie per farlo respirare e riportarlo dove abbia una presa stabile. E anno dopo anno la questione continua a peggiorare. Ho letto che, lo scorso anno, il tasso di mortalità dei cuccioli è stato del 100% in alcune zone del golfo di S. Lorenzo. E' evidente che questa specie affronti grossi problemi di estinzione. Questa è diventata una storia di copertina per il National Geographic, ed ha ricevuto molta attenzione.

Da qui, ho capito il potenziale che avrebbero avuto altre storie legate ai problemi del mare. Quindi ho proposto un servizio sulla crisi della pesca globale, in parte perché sono testimone oculare del degrado degli oceani avvenuto negli ultimi 30 anni, e in parte perché ho letto un rapporto scientifico in cui si dice che il 90% dei grossi pesci dell'oceano è scomparso negli ultimi 50, 60 anni. Sto parlando di tonni, pesci spada e squali. Quando l'ho letto, quei numeri mi hanno spiazzato. Ho pensato che sarebbe stato su tutte le prime pagine dei giornali, ma in realtà non è accaduto, e quindi ho voluto fare un servizio che fosse molto diverso dal solito. Volevo che somigliasse a un reportage di guerra, dove le mie foto sarebbero state molto scioccanti per mostrare al pubblico cosa succedeva alla vita sottomarina del pianeta.

Il primo aspetto del servizio che ho comunque ritenuto fondamentale voleva dare alla gente un modo per realizzare l'importanza degli esemplari marini che comunemente si mangiano. Voglio dire, si va al ristorante, si ordina una bistecca, e tutti sappiamo da dove vengono le bistecche, si ordina il pollo, e tutti sappiamo cos'è un pollo, ma quando la gente ordina sushi di tonno pinna blu, si rende minimamente conto di quale magnifico animale sta consumando? Questi sono i leoni e le tigri del mare. Anzi, in realtà non esiste il loro equivalente terrestre, sono unici al mondo. Questi sono esemplari che possono nuotare dall'equatore ai poli e attraversare interi oceani nel corso di un anno. Se non fossimo tanto efficienti nel catturarli, poiché crescono per tutta la vita potremmo avere tonni pinna blu di 30 anni e del peso di una tonnellata. Ma la verità è che siamo troppo efficienti nel catturarli, e il loro numero è crollato in tutto il pianeta.

Questa è l'asta giornaliera al mercato del pesce di Tsukiji che ho fotografato un paio d'anni fa. Giorno dopo giorno, tonni pinna blu come questi formano enormi cataste, simili a legname, magazzino dopo magazzino. E mentre mi avventuravo nei mercati scattando queste foto, mi sono reso conto che l'oceano non è un supermercato, mi spiego? Non possiamo continuare a prendere senza aspettarci gravi conseguenze.

Con questo servizio ho anche voluto mostrare come si pesca, il modo in cui i pesci vengono catturati, per esempio con una rete a strascico, uno dei metodi più comuni al mondo. Questa è una piccola rete che usavano in Messico per gli scampi, ma il suo uso è essenzialmente lo stesso in tutto il mondo. C'è una grossa rete al centro, con due porte d'acciaio agli estremi. Nel momento in cui viene trascinata nell'acqua, le porte incontrano la resistenza dell'oceano che apre l'imbocco della rete. Ci sono galleggianti in cima e del piombo sul fondo della rete, che viene trascinata lungo il fondale, in questo caso per pescare scampi. Ma, come potete immaginare, cattura tutto ciò che trova sul cammino, distruggendo la preziosa comunità bentica del fondale, come spugne e coralli, l'habitat fondamentale per gli altri animali.

In questa foto vedete il pescatore con il suo 'raccolto' di scampi dopo un'ora di pesca a strascico. Ecco, ha in mano un pugno di scampi, forse 7 o 8, e tutti gli altri esemplari sul ponte della barca sono scarti. Questi sono gli animali morti durante le operazioni, ma privi di valore commerciale. Ecco il vero costo di una cena a base di scampi, forse sette o otto scampi e 5 kg di altri esemplari che sono morti durante la pesca. Per rendere ancora più reale la questione, ho nuotato sotto il peschereccio e ho fotografato il pescatore che spala via gli scarti in mare come fossero spazzatura. Ho fotografato questa cascata di morte, capite, esemplari di pesci chitarra, razze, passere di mare, pesci palla, che solo un'ora prima erano vivi sul fondo dell'oceano e ora vi vengono ributtati come spazzatura.

Ho voluto anche concentrarmi sull'industria della pesca degli squali perché al momento, sul pianeta terra, noi stiamo uccidendo più di 100 milioni di squali ogni anno. Ma prima di iniziare a fotografare questo aspetto mi sono chiesto più volte come fotografare uno squalo morto in modo da creare consapevolezza tra la gente. Voglio dire che penso siano ancora molti quelli che ritengono che l'unico squalo buono sia quello morto. Ma una mattina mi sono tuffato e ho trovato questo squalo volpe che era appena morto in questo tramaglio. E con le enormi pinne pettorali e gli occhi ancora ben visibili, se permettete, mi ha ricordato una sorta di crocifissione. Questa è diventata la foto principale nel servizio per National Geographic sull'industria della pesca globale. Spero tanto che abbia aiutato il pubblico a realizzare che questo problema riguarda 100 milioni di squali.

E poiché io amo gli squali - ne sono in qualche modo ossessionato - ho voluto fare un altro servizio, più celebrativo, sugli squali per parlare della necessità di tutelarli. E quindi sono andato alle Bahamas, perché esistono pochissimi luoghi al mondo in cui gli squali prosperano, di questi tempi, e le Bahamas sembrano una zona in cui il numero di squali è ragionevole, soprattutto grazie al fatto che il governo, anni fa ha dichiarato fuori legge la pesca coi palangari. Ho voluto mostrare alcune specie che non comparivano molto nella rivista. Abbiamo visitato molti luoghi,

uno dei quali è chiamato Tiger Beach, nel nord delle Bahamas, dove gli squali tigre si riuniscono nei fondali bassi. Questa è una ripresa dall'alto, di una delle nostre barche con una dozzina di squali tigre che la seguono nuotando in circolo. Ma la cosa che non volevo assolutamente fare in questo servizio era perpetrare la fama di mostri che gli squali ormai hanno. Non volevo che risultassero troppo minacciosi, terrificanti. E con questa fotografia di uno splendido esemplare femmina di squalo tigre lungo, credo, circa 5 metri credo di aver raggiunto lo scopo. Qui sta nuotando con questi carangidi davanti al naso e la mia luce stroboscopica le ha creato un'ombra sul muso. Credo sia un'immagine più gentile, meno minacciosa, più rispettosa della specie.

In questo servizio ho anche cercato il più elusivo grande squalo martello, animale che non è stato molto fotografato fino a circa sette o dieci anni fa. E' una creatura molto solitaria. Non sono molti i dati scientifici che possediamo su questo animale in Florida e alle Bahamas. In realtà, non sappiamo quasi nulla su di loro. Non sappiamo dove migrino né da dove tornino, dove vadano ad accoppiarsi, dove nascano i piccoli, e tuttavia, le popolazioni di squali martello dell'Atlantico sono diminuite di circa l'80% negli ultimi 20, 30 anni. Rendetevi conto, li perdiamo più velocemente di quanto li possiamo trovare.

Questo è lo squalo pelagico pinna bianca, ed è considerato la quarta specie più pericolosa, se andate a vedere questo genere di liste. Ma il suo declino è di circa il 98% nelle zone in cui è solito vivere. Poiché è un animale pelagico che vive a grandi profondità e poiché noi non stavamo lavorando sul fondale, mi sono munito di una gabbia per gli squali, e il mio amico, biologo studioso di squali, Wes Pratt, è nella gabbia. Vedete che il fotografo, qui, ovviamente, è fuori dalla gabbia, quindi è chiaro che il biologo è un po' più furbo del fotografo.

Infine, con questo servizio, ho voluto portare l'attenzione sui piccoli di squalo. Sono andato sull'isola di Bimini, alle Bahamas per lavorare sui piccoli di squalo limone. Questa foto ritrae un piccolo di squalo limone, e mostra i luoghi in cui essi passano i primi 2 o 3 anni di vita, sotto la protezione di queste mangrovie. Questa foto non è tipicamente 'squalesca', non è la solita foto di uno squalo che siamo portati a immaginare. Ma qui vediamo uno squalo lungo circa 20 centimetri che nuota in 30 centrimetri d'acqua. E questo è un ambiente cruciale, in cui passano i primi 2 o 3 anni di vita, fino a quando sono cresciuti abbastanza per affrontare la barriera corallina. Dopo aver lasciato Bimini, ho saputo che i bulldozer avevano distrutto questo habitat per creare un campo da golf e un villaggio turistico.

Altri servizi recenti hanno parlato di singole specie 'portabandiera', se vogliamo, che sono a rischio negli oceani per parlare di altri tipi di minacce. Uno di questi tratta della tartaruga liuto. Questa è la più grande, più diffusa, più vecchia e raggiunge le maggiori profondità tra tutte le specie di tartarughe. Qui vediamo una femmina fuori dall'acqua, alla luce della luna, sull'isola di Trinidad. Questi sono animali che risalgono a circa 100 milioni di anni fa. C'è stato un periodo in cui uscivano dall'acqua per deporre le uova e vedevano i tirannosauri che correvano. Oggi, escono dall'acqua e vedono dei condomini. Eppure, nonostante una tale longevità oggi sono considerate specie a rischio. Nel Pacifico, dove ho scattato questa foto, il loro numero è diminuito di circa il 90% negli ultimi 15 anni.

Questa foto mostra un piccolo pronto ad assaggiare l'acqua di mare per la prima volta, e iniziare così il suo lungo pericoloso percorso. Solo una su mille tra le tartarughe liuto diventerà adulta. Ma ciò è dovuto ai predatori naturali, come gli avvoltoi che le catturano sulla spiaggia, o i pesci predatori che le attendono vicino alla riva. La natura ha imparato a compensare, e le femmine depongono più covate per sopperire a queste eventualità. Ma ciò che non riescono a superare sono gli stress antropogenici, creati dall'uomo, come questa fotografia, in cui una tartaruga liuto è impigliata in un tramaglio. In realtà qui mi sono tuffato e ho scattato questa foto poi, con il permesso del pescatore, ho liberato la tartaruga che è riuscita a riprendere il largo. Ma migliaia di tartarughe liuto, ogni anno, non hanno la stessa fortuna, e il futuro della specie è in grave pericolo.

Un'altra specie carismatica di 'megafauna' con cui ho lavorato è descritta nel mio servizio sulla balena franca. In breve, la storia delle balene franche racconta che circa un milione di anni fa esisteva una sola specie di balena franca sul pianeta. Ma lo spostamento delle masse terrestri ha isolato gli oceani e le specie si sono separate, e oggi abbiamo, di fatto, due tipi di balena franca. Abbiamo quella dell'emisfero sud, che vediamo qui, e la balena franca del nord Atlantico, che vediamo qui, con madre e piccolo al largo delle coste della Florida. Entrambe le specie sono state portate sull'orlo dell'estinzione dalla caccia dei primi balenieri, ma la balena dell'emisfero sud si è ripresa molto meglio in quanto vive in zone molto più lontane dalle attività dell'uomo.

La balena franca del nord Atlantico rimane la specie più a rischio di estinzione del pianeta perché è una balena 'urbana', vive lungo la costa est di Nord America, Stati Uniti e Canada, e deve fare i conti con i problemi legati all'urbanizzazione. Questa è la testa di un esemplare che spunta sotto il tramonto lungo la costa della Florida e sullo sfondo vediamo un impianto di lavorazione del carbone. Devono affrontare i danni causati da tossine e sostanze chimiche che vengono scaricate nell'oceano e che potrebbero perfino alterare la loro riproduzione. Rimangono anche impigliate nelle reti da pesca. Qui vediamo la coda di una balena franca, e quei segni non sono dovuti a cause naturali. Sono cicatrici provocate dalle attrezzature da pesca. Il 72% della popolazione delle balene le porta, e la maggior parte non riesce a liberarsi da trappole per aragoste o granchi che rimangono attaccate e, alla fine, le uccidono. L'altro problema sono le collisioni con le imbarcazioni. Qui vediamo un esemplare colpito da una barca in Nuova Scozia, in Canada, lo hanno trainato a riva dove l'autopsia ha confermato che la causa della morte era stata senza dubbio la collisione con un'imbarcazione. Questi esemplari si trovano ad affrontare enormi ostacoli che mantengono il loro numero a livelli bassissimi.

Per fare un paragone con questa tormentata popolazione del Nord Atlantico ho visitato una popolazione intatta di balene franche del Sud che era stata scoperta solo 10 anni fa in una zona sub Antartica della Nuova Zelanda, le isole Auckland. Ci sono andato in inverno. Questi sono esemplari che non avevano mai incontrato l'uomo. Io sono stato uno dei primi umani che avessero mai visto. Mi sono tuffato con loro e la loro curiosità è stata sorprendente. Qui il mio assistente è sul fondo, a circa 25 metri di profondità con uno splendido esemplare di balena di 15 metri che pesa 70 tonnellate. E' come un autobus che nuota verso di te. Erano in condizioni perfette, con molto grasso, in salute, robuste, e senza cicatrici, proprio come dovrebbe essere una balena. Ho letto che i padri pellegrini, approdati a Plymouth Rock in Massachusetts nel 1620, scrissero che si poteva attraversare la baia di Cape Cod camminando sul dorso delle balene franche. Oggi noi non possiamo tornare indietro per vederlo ma forse possiamo salvaguardare quello che rimane.

Vorrei concludere con una storia di speranza, un servizio che ho fatto sulle riserve marine, una sorta di soluzione al problema della pesca sfrenata, della crisi globale della pesca. Ho deciso di lavorare sulla Nuova Zelanda perché la Nuova Zelanda è piuttosto progressista, soprattutto in termini di tutela dei propri oceani. Volevo che il servizio parlasse di tre aspetti. Volevo che parlasse di abbondanza, di diversità e di resistenza. Una delle prime zone in cui ho lavorato era la riserva di Goat Island al largo di Leigh, in Nuova Zelanda. Gli scienziati mi dissero che quando inizialmente dichiararono la zona riserva protetta nel 1975 speravano e si aspettavano che alcune cose accadessero.

Per esempio, che alcune specie di pesci come lo snapper della Nuova Zelanda ritornassero dato che la pesca le aveva portate alla soglia dell'estinzione. E lo snapper è tornato. Ciò che non si aspettavano furono altre cose. Per esempio, questi pesci si nutrono di ricci marini. E quando i pesci erano scomparsi tutto quello che si poteva vedere sott'acqua erano enormi distese di ricci marini. Ma quando i pesci sono ricomparsi, ricominciando a nutrirsi e a controllare la popolazione dei ricci, chi l'avrebbe detto, foreste di alghe sono cresciute in acqua bassa. E questo perché i ricci si nutrono di alghe. Quindi, con il pesce che controllava la popolazione di ricci l'oceano ha ritrovato il proprio equilibrio naturale. Probabilmente l'oceano aveva questo aspetto 100 o 200 anni fa, ma nessuno avrebbe potuto mostrarcelo.

Ho lavorato anche in altre zone della Nuova Zelanda in magnifiche e fragili aree protette come il Fiordland, dove abbiamo trovato questa colonia di pennatule. Piccoli merluzzi blu aggiungono un tocco di colore. Nel nord della Nuova Zelanda mi sono tuffato in acque turchesi un po' meno fredde e ho fotografato esemplari come questa razza gigante che nuota in una gola sottomarina. Ogni elemento dell'ecosistema qui sembra godere di condizioni ottimali, dai minuscoli nudibranchi, che strisciano su diplastrelle megastellate, a questo carangide, esemplare molto importante dell'ecosistema perché setacciando i fondali permette alla nuova vita di attecchire.

Vorrei concludere con questa fotografia, che ho scattato in Nuova Zelanda in un giorno di forte tempesta. Mi sono sdraiato sul fondale circondato da un banco di pesci che mi piroettava intorno. Mi trovavo in un luogo dichiarato protetto solo 20 anni prima. E ho parlato con subacquei che lo frequentavano da molti anni che mi hanno detto che la vita sottomarina era migliore adesso di quanto lo fosse negli anni '60. Ed è grazie alla sua tutela che la vita è rinata.

Credo dunque che il messaggio sia chiaro. L'oceano, senza dubbio, resiste e ci tollera fino ad un certo punto, ma noi dobbiamo esserne i custodi. Io sono diventato fotografo di vita sottomarina perché mi sono innamorato del mare e oggi lo fotografo perché intendo proteggerlo, e non credo sia troppo tardi.

Grazie mille.

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33° Hanna Rosin: I dati sull'ascesa delle Donne

34° N. Hertz: Quando non dare ascolto agli esperti

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